La Pietra di Salomone è il più grande dei blocchi calcarei del Permiano della Valle del Sosio. Il nome deriva dalla famiglia Salamone proprietaria del feudo, trasformato successivamente in Salomone nelle carte topografiche e nelle prime pubblicazioni scientifiche.
Si tratta di un corpo roccioso che racchiude ricchissime testimonianze fossili di vita marina del periodo Permiano. La prima descrizione di queste rocce che risale all’anno 1887, si deve a Gaetano Giorgio Gemmellaro, professore di Geologia presso l’Università di Palermo.
Da questo e dagli altri blocchi calcarei della stessa età provengono ricchissime collezioni fossili in parte custodite nel Museo Geologico dell’Università di Palermo. Alcuni calchi dei fossili più rappresentativi sono esposti nel piccolo museo di Palazzo Adriano.
La Pietra di Salomone è formata da calcari bianchi con stratificazione mal definita e spessore stratigrafico di circa 70 m. Nel settore orientale questi calcari sono molto alterati, in alcuni casi polverulenti, mentre nel settore occidentale si presentano più compatti, di colore leggermente grigiastro. In entrambi i casi l’osservazione dei fossili presenti nella roccia è impedita dalla alterazione superficiale e dalla lichenificazione.
Studi recenti hanno evidenziato che questo blocco calcareo, apparentemente compatto, è in realtà costituito da brecce, calcareniti e calcilutiti che si sono accumulate lungo un pendio sottomarino che univa una zona di mare poco profondo ad un bacino di mare aperto. Gli elementi che compongono la breccia provenivano dal periodico smantellamento di strati permiani originatisi principalmente in ambienti di scogliera e contenenti alghe calcaree, fusuline, spugne, coralli, braciopodi, molluschi (lamellibranchi e gasteropodi), crinoidi. L’abbondante detrito prodotto si accumulava insieme a sedimenti più fini, inglobando anche fossili di mare aperto quali ammonoidi, nautiloidi e trilobiti.
